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Tra le altre cose, l’avvento di internet ha intercettato e amplificato l’antichissimo fenomeno della pornografia. Che il fenomeno attuale, tra l’altro, appartenga di diritto alla cultura partecipativa – un tipo di cultura che non soltanto abbassa gli ostacoli alla partecipazione, ma crea anche forti incentivi sociali a produrre e condividere quel che si produce con gli altri (Jenkins et al, 2006) – è dimostrato dalla crisi dell’industria del porno dovuta in gran parte alle piattaforme di free videosharing.

Tuttavia che i tempi siano maturi per avviare una seria riflessione filosofica sulla pornografia in quanto fenomeno di massa, rigorosa in quanto capace di mettere da parte moralismi e pregiudizi, lo aveva indicato già nel 2007 il filosofo Franco Volpi, che aveva addirittura coniato il termine “pornosofia” in un articolo per Panorama. Questo impulso è stato raccolto da Simone Regazzoni, un giovane filosofo che in passato si era occupato di cultura pop – nel senso etimologico del termine – avendo scritto su diverse fiction, quali Harry Potter, Dr. House e Lost, e che l’anno scorso ha presentato il suo libro “Pornosofia” al Salone del Libro di Torino. Mentre esiste una vasta produzione filosofica internazionale sul porno, in Italia le pubblicazioni scarseggiano, e forse se ne possono comprendere alcuni motivi se si considera che il libro gli è costato l’incarico di professore all’Università Cattolica di Milano.
In esso l’autore compie un’analisi sul ruolo che il genere porno ha assunto nella società contemporanea. Regazzoni sostiene che il porno ha le caratteristiche di una real fiction, in cui gli attori fingono di fare ciò che fanno realmente, non diversamente da ciò che si verifica in altri tipi di fiction. Il making of di qualsiasi porno dimostra che esso è costituito da una serie di atti sessuali costruiti per una videocamera, e che il montaggio delle scene segue precise convenzioni.
Eppure, incorporando la realtà dell’atto sessuale, il porno erode più di ogni altra forma di fiction il diaframma che separa la finzione dalla realtà, e quindi può essere considerato un’anticipazione dei reality. Chi considera osceno questo genere che oggi viene molto seguito (dal latino obs= a cagione, cenus= fango, melma) ora ha una chiave di lettura in più.

Regazzoni ha cercato di comprendere anche qual è il ruolo giocato dalla donna, spostando l’accento dal luogo comune che identifica il porno come l’emblema del dominio maschile, da cui discende una visione univoca della donna come oggetto, inevitabilmente passiva e degradata, e proponendo una “contro-appropriazione” che vada a decostruire i limiti di questa lettura fossilizzata per rivendicare il diritto a una libera interpretazione di un’opera di fiction. Si tratta principalmente di prendere atto che differenti interpretazioni sono possibili, e che quella delle femministe anti-porno è solo una tra queste.
Una donna che certamente non ha svolto un ruolo passivo in questo mondo, è Jenna Jameson, prima donna imprenditrice porno, ed è interessante notare che attualmente, in piena recessione dell’industria del porno, la sua compagnia non conosce crisi e guadagna circa 30 milioni di dollari l’anno. Il suo segreto probabilmente è l’essere riuscita a cogliere lo Zeitgeist e aver creato intorno al suo business una comunità online che la rende anche una “social star”, oltre ad essere una porno star.

Un’altra donna notevole per cui il sesso ha rappresentato il modo per guadagnarsi la vita, è stata Beate Uhse. Classe 1919, unica donna aviatore della Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale e poi vedova di guerra con un bambino da allevare, è una figura che meriterebbe certamente che la sua vita venisse raccontata in un film. Beate si rese conto che nella Germania distrutta del dopoguerra le donne erano in una situazione disperata per quel che riguardava il controllo delle nascite, e nel 1947 diede alle stampe un libriccino che conteneva consigli e informazioni sulla sessualità, l’igiene sessuale e la contraccezione. Il libretto, venduto per posta, ebbe un enorme successo e ben presto la compagnia si ampliò e diversificò gli articoli in vendita. Nel 1962 aprì a Flensburg il primo sexy shop del  mondo in cui vendeva articoli per “l’igiene coniugale”. Attualmente la compagnia conta negozi sparsi in tutto il mondo, un sito per la vendita online e un canale televisivo in streaming. Nel 1996 ha finalmente coronato il suo sogno di aprire un Museo Erotico a Berlino.

Con queste premesse, non stupisce che la TV erotica Beate Uhse abbia ingaggiato un’agenzia di alto livello per realizzare uno spot raffinato e tecnicamente impeccabile che pubblicizza la cosiddetta “sicurezza bambini”.
I creativi hanno rielaborato delle immagini speculari formate da macchie di inchiostro che compongono un’immagine, dapprima sessualmente evocativa, che gradualmente si trasforma in immagini legate al mondo dell’infanzia. Il messaggio finale recita “Tu lo vedrai, i tuoi bambini no”, in totale sintonia con le immagini ambigue, in cui a seconda dell’osservatore e del contesto in cui viene percepita, essa assume diversi significati
Anche per questa ragione, crediamo che il concept di questo spot, basato su macchie simmetriche si ispiri al “Test di Rohrschach”, comunemente conosciuto come il test delle macchie di inchiostro, al cui lemma del glossario rimandiamo per approfondimenti.

*Articolo già pubblicato sull’Osservatorio Psicologia nei Media

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