Quando una persona a noi cara sta attraversando un momento difficile, è naturale cercare di aiutarla a sentirsi meglio. Ma il supporto che si può dare può arrivare solo fino ad un certo punto, e per di più è sempre in agguato la possibilità – anche inconscia – di non essere del tutto oggettivi nel proprio desiderio di aiuto. L’essere amici, familiari o partner della persona in difficoltà porta inevitabilmente ad essere in qualche misura invischiati nella loro vita e, a volte, a mescolare i propri bisogni e sistemi di valore con i loro.
L’articolo sviluppa questi aspetti nell’ambito delle relazioni tra adulti.
Specialmente se noi stessi abbiamo seguito con esito positivo un percorso psicoterapeutico, sembra logico consigliare di fare la stessa cosa. Ma rivolgersi a qualcuno, pur con tutto l’affetto del mondo, dicendo in modo asciutto qualcosa come “Hai bisogno di una psicoterapia“, non consegue sempre l’esito desiderato, anzi.
Le resistenze
Molte persone rifiutano l’idea di non essere in grado di risolvere un problema da sole. Viviamo in una società in cui vengono continuamente decantati l’individualismo, l’indipendenza, l’autonomia. E le figure del self made man, del Superuomo o del Supereroe sono riconoscibili come tópoi (dal greco τόποι), schemi narrativi ormai diventati luogo comune. La mera ipotesi di dover chiedere un aiuto esterno può quindi essere facilmente letta come una debolezza personale, e può suscitare sentimenti di vergogna. Nei casi estremi può innescare una crisi di identità.Anche considerare di avere un problema di salute mentale, a differenza di quel che normalmente avviene per un problema fisico – quantomeno per le malattie più comuni – può suscitare lo stesso tipo di sentimento e condurre al rifiuto dello psicologo. Ci si può sentire gli unici ad avere questo tipo di problema, di essere strani, guasti o temere di essere pazzi. Non è così, naturalmente. Moltissime persone soffrono di difficoltà emotive, e vivono le stesse paure infondate. (Tanto per sgombrare il campo da una di queste, chi è veramente “pazzo” non si pone la domanda se lo è o meno. Vive nel proprio mondo, con le proprie coordinate e non le mette in discussione.)
Un’altro tema che può portare a respingere la possibilità di rivolgersi ad uno psicologo è la paura di parlare dei propri più intimi aspetti con uno sconosciuto. C’è il timore di non essere capiti, ma anche quello di essere giudicati. O ancora, la paura di trovarsi intrappolati all’interno di una relazione di dipendenza. Più rara è la paura di essere esposti, in quanto la confidenzialità del rapporto paziente terapeuta è ormai di pubblico dominio.
Le parole per dirlo
Consigliare a qualcuno di andare in psicoterapia deve essere considerato un processo delicato, in cui – di base – far sentire la propria vicinanza e la propria accettazione incondizionata della persona, qualunque sia la sua scelta. Sono assolutamente da evitare giudizi, forzature o stratagemmi, i quali non solo porterebbero la persona a rivolgersi ad uno psicologo con delle premesse sbagliate, ma potrebbero nel tempo anche ritorcersi contro il “consigliere”. L’etimo di consiglio deriva dal latino CON (=CUM, insieme) e SUL (=SAD, sedere), quindi significa sedere insieme o, secondo altre fonti, saltare insieme.
Probabilmente questo, in senso figurato, lo si è già fatto. Ci sono state lunghe ore di conversazione durante le quali la persona ci ha parlato delle proprie difficoltà, e noi magari abbiamo già azzardato consigli e soluzioni, che sono rimaste inefficaci o inascoltate.
Ripetere alcune delle preoccupazioni che ci sono state raccontate, in modo gentile, può aprire gli occhi. E’ un modo per far sentire alla persona che è stata ascoltata e riconosciuta nella sua situazione di vita attuale, e anche per comunicarle indirettamente che lei stessa ha già rilevato che ci sono degli aspetti problematici. Si può aggiungere che una psicoterapia è un buon posto dove ricevere aiuto per questo genere di cose.
Se abbiamo avuto un’esperienza positiva con la psicoterapia, magari per una problematica simile, si può raccontare come ci si sentiva prima e in quale modo il terapeuta ci ha aiutato. E’ importante non porsi nella posizione di colui o colei che impartisce una lezione di vita – se la propria terapia è stata davvero efficace, questo dovrebbe essere facile da evitare! – perché la persona potrebbe avere una reazione negativa e mettersi sulla difensiva. Il più grande aiuto potrebbe provenire, di nuovo, dal non detto: se questa persona cerca consiglio da noi, probabilmente vuol dire che ci stima. E se una persona di cui si ha una buona opinione è andata in terapia e ne parla serenamente, allora forse andare in terapia non sarà più motivo di vergogna.
Si può parlare metaforicamente della nostra psicoterapia come di un percorso di apprendimento, un modo per conoscersi e sviluppare strumenti utili, non dissimile da altri percorsi di apprendimento seguiti nel corso della vita. La scuola ci fornisce percorsi di logica, ci aiuta a sviluppare la nostra razionalità, molto più raramente ci insegna a comprendere le emozioni e a non esserne preda. Di fatto, il paziente è un soggetto attivo nel percorso psicoterapeutico, è qualcuno che indica la direzione e segna il passo al quale procedere, e che al contempo è disponibile a ricevere quanto il terapeuta può dirgli. A differenza di quanto avviene solitamente nel rapporto con il medico, il paziente non è lì per essere “aggiustato”, ma per essere compreso e comprendersi e grazie a questo ottenere una nuova visione.
La prima reazione potrebbe essere comunque quella di voler risolvere le cose da soli. E’ una risposta che va rispettata ma, magari nel tempo, può essere confrontata con il principio di realtà. Come si stanno muovendo? Come stanno andando le cose? Le soluzioni messe in atto stanno dando dei frutti? Se è così, come mai non si sentono meglio nel corso del tempo? In questo passaggio è molto importante non essere giudicanti ma essere gentili nel sostenere la persona e farle sentire il nostro interesse per il suo benessere. Il primo passo verso la psicoterapia è un passo enorme, e per compierlo occorrono forza e coraggio, può servire del tempo.
In ultimo, astenersi
Ricordiamo sempre che, nonostante tutto il nostro incoraggiamento o gli sforzi che possiamo aver fatto, è sempre diritto della persona decidere per se stessa. Non possiamo far fare a nessuno qualcosa contro la sua volontà e non è nostro compito assumere un ruolo di controllo. Anche dopo aver ampiamente discusso l’opzione della psicoterapia, la persona non è tenuta a dirci se ha deciso di seguire il nostro consiglio o meno, e arriva un momento in cui tornare sull’argomento potrebbe essere vissuto come intrusivo da parte nostra.
Come andranno le cose dipenderà molto dal tipo di relazione che abbiamo con questa persona e dalla profondità del rapporto, ma anche dagli aspetti caratteriali e dalla problematica specifica.
Consigliare a qualcuno di andare in psicoterapia, parlandone in modo generico e al di fuori del contesto della relazione specifica come in questo articolo, è necessariamente un discorso prudente e incompleto. Se le indicazioni che ho dato risultano insufficienti e se la persona in difficoltà ci sta particolarmente a cuore, può essere utile chiedere un appuntamento per approfondire la situazione e mettere a punto una strategia.