Il Prof. Luigi Solano, docente di Psicosomatica presso l’Università La Sapienza di Roma, sta conducendo da dieci anni, con i suoi collaboratori della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute, un’interessante sperimentazione, a nostra conoscenza unica nel suo genere, di un’attività di collaborazione professionale tra Medico di Base e Psicologo. L’incontro tra questi due professionisti, operanti in sinergia all’interno dello stesso ambulatorio, ha permesso di dar vita a un nuovo e più efficace approccio alla salute psico-fisica e al benessere dei pazienti che si rivolgono al Medico di Base, un approccio che consente di guardare al paziente nella sua totalità di “persona”, con un’ottica biopsicosociale. E’ possibile in tal modo analizzare la richiesta di aiuto del paziente, il suo disagio, i suoi sintomi in modo più complesso e completo, permettendo di valutare e comprendere il problema che egli porta inserendolo all’interno del suo contesto ambientale, familiare, lavorativo e relazionale in generale sia presente che passato e, all’interno della specificità della fase di vita che sta affrontando.
Tutto ciò ha consentito di individuare alle origini un disagio che richiedeva un intervento psicologico, di prevenire un eventuale peggioramento dello stato psicofisico generale dei pazienti, di orientare verso un intervento specialistico coloro che avevano bisogno di tale intervento, in sintesi di incanalare nella giusta direzione e con la giusta modalità una domanda che necessitava d’intervento psicologico e che molto probabilmente non avrebbe avuto risposta, a causa del pregiudizio sociale che ancora grava sulla professione di Psicologo. E’, inoltre, importante sottolineare un altro risultato estremamente significativo che la ricerca ha consentito di dimostrare, ovvero il notevole risparmio economico in termini di riduzione della spesa farmaceutica.
Questa ricerca assume un’importanza ancora maggiore oggi, alla luce della recente proposta di legge sull’istituzione della figura professionale dello Psicologo di Base e, i risultati più che positivi ed incoraggianti ottenuti, consentono di affermare che l’ integrazione tra Medico di Base e Psicologo di Base non solo è possibile ma anche necessaria ed urgente, ma con la giusta formula…
INTERVISTA AL PROF. LUIGI SOLANO
Egregio Prof. Solano, dal 2000 insieme ai suoi collaboratori sta svolgendo un’attività di sperimentazione di lavoro congiunto Medico di Base e Psicologo (1,2,3). Quali motivi vi hanno spinto ad intraprendere questa esperienza?
Ci sono due serie di motivi, una più inerente la medicina una più inerente la psicologia.
Sul versante della Medicina, il suo allontanamento da una visione olistica dell’essere umano, che data dalla rivoluzione positivista della seconda metà dell’800 ma si è progressivamente accentuata negli ultimi decenni, rende sempre più difficile al medico accogliere una domanda, stimata almeno intorno al 50%, che ha poco a che fare con il biologico ma richiede risposte di tipo psicosociale. Una formazione psicologica del medico, oltre che scontrarsi con differenze di cultura, è resa ancora maggiore dall’incremento delle nozioni che fanno parte del sapere sia medico che psicologico. La progressiva differenziazione tra le due discipline rende inoltre difficile anche una collaborazione mediante invio o consulenza, nella misura in cui il medico, cui giunge primariamente la domanda psicosociale, non ha le competenze necessarie a identificare le situazioni cliniche in cui proporre (e non prescrivere) il coinvolgimento di uno psicologo, né per effettuare un invio che abbia qualche speranza di andare a buon fine.
Le speranze che un invio ad uno psicologo vada a buon fine sono comunque ridotte per problemi inerenti il versante della Psicologia: il disagio psichico continua ad essere visto, anche se con maggiore benevolenza rispetto a periodi in cui le persone con disturbi psichici venivano messe al rogo, incatenate, rinchiuse ecc., come qualcosa che riguarda soltanto una parte specifica della popolazione, non certo la sua totalità – come invece accade per la malattia fisica. Questo si traduce in uno stigma sociale perdurante verso chi consulti uno psicologo o altro operatore della salute mentale, e rende quindi le persone estremamente riluttanti a questo incontro, se non in fasi tardive, inveterate, del disagio. L’entità di tale riluttanza è confermata da un recente Studio dell’Ordine degli Psicologi del Lazio che ha mostrato che solo il 5% della popolazione ha avuto nella sua vita un contatto professionale con uno psicologo, ivi comprese le situazioni di selezione e formazione professionale (2).
Abbiamo quindi il paradosso di un medico subissato di domande cui non è in grado di dare risposte, e di uno psicologo che viene consultato pochissimo, e tardi. L’inserimento di uno Psicologo nello studio di un Medico di Base mi è sembrato quindi un modo per offrire una risposta ad una domanda di carattere psicosociale dove questa viene portata, senza che la persona abbia l’onere di richiedere personalmente la consulenza di uno psicologo, in un contesto dove questa consulenza viene proposta per tutta la popolazione, esattamente come la consulenza medica.
La collaborazione diretta tra i due professionisti costituisce inoltre una preziosa occasione di integrazione tra due saperi diversi, non realizzabile in nessun corso di formazione.
Come si è svolta fino ad oggi questa esperienza congiunta di lavoro e quanti medici e pazienti sono stati coinvolti?
Nel corso degli ultimi 10 anni 11 psicologi qualificati, specializzandi della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute della Sapienza di Roma, hanno ricevuto i pazienti insieme ad un Medico di Base, in un giorno fisso della settimana, per 3 anni, in studi di Roma o di cittadine limitrofe. Il lavoro è tuttora in piena attività. Un cartello in sala di attesa comunica l’iniziativa ai pazienti, indica il turno di presenza dello psicologo, e chiarisce la possibilità, ove lo si desideri, di essere ricevuti solo dal proprio medico. I singoli casi e il funzionamento generale dell’iniziativa vengono discussi in riunioni almeno bisettimanali coordinate dal sottoscritto cui partecipano tutti gli psicologi come parte della loro formazione e, seconda della loro disponibilità, anche i medici. In questo modo nel corso dei 3 anni ciascuno psicologo è entrato in contatto con circa 700 pazienti dei 1500 iscritti presso ogni medico.
La figura dello psicologo della Salute ci è apparsa particolarmente adatta per la tendenza ad approcciare le situazioni in termini di problemi da risolvere e non di patologie da identificare, e ad intervenire soprattutto in termini di promozione delle risorse personali. Non si può certo escludere che un lavoro simile possa essere svolto da psicologi con formazione di tipo diverso, purché questa non spinga, più o meno consapevolmente, a cercare di occuparsi soprattutto dei casi “grave psicopatologia”. Quest’ultima è in realtà una delle poche forme di disagio non somatico che il medico è già in grado di identificare con i propri mezzi e di affrontare utilizzando i servizi esistenti.
I colloqui con i pazienti sono stati di tipo individuale, o anche di coppia e familiare?
Il colloquio con i pazienti si è svolto anzitutto in copresenza con il medico, sia che si presentasse un singolo individuo sia che, come spesso accade nella pratica di un medico di base, i pazienti si presentassero in coppia o come gruppo familiare. In alcuni casi, non molti (5-6 l’anno in media), si è ritenuto utile proporre degli incontri psicologici specifici, in modo da avere uno spazio più ampio. Certamente questi colloqui sono stati anche di coppia o familiari.
La copresenza Medico di Base e Psicologo nello stesso ambulatorio quali effetti produce sulla relazione medico-paziente e sulla prevenzione?
E’ risultato evidente come la semplice presenza dello psicologo incoraggiasse i pazienti a narrare la storia dei loro disturbi, anche se di lunga data, in un modo diverso, con l’aggiunta di nuovi elementi, non solo per il diverso ruolo professionale della nuova figura, ma anche per la presenza comunque di un “terzo” nel rapporto medico paziente. La mancanza di una conoscenza precedente dei pazienti da parte dello psicologo portava il medico a formulare domande più specifiche e a ricostruire la storia passata in modo più attento. I pazienti, da parte loro, si sentivano più autorizzati a sedersi a parlare di cose che in precedenza non pensavano potessero trovare uno spazio nello studio di un medico.
Riguardo alla prevenzione è evidente che la possibilità di identificare un problema relazionale in una delle prime volte in cui viene in qualche modo espresso, anche in termini inconsapevoli (ad esempio somatici) permette di intervenire in una fase molto precoce, prima che un problema si strutturi in “psicopatologia” o in patologia somatica definita.
Che tipo di rapporto si è instaurato tra Psicologo-Medico di Base e Psicologo-pazienti e come si è evoluto nel corso del tempo? In particolare, sono emerse modifiche nella percezione della figura dello Psicologo da parte dei medici di base e dei pazienti? E’ migliorato il rapporto di collaborazione tra Medici di Base e Psicologi?
Certamente è stato necessario un periodo di “rodaggio” per avviare la collaborazione tra i due professionisti. Nel periodo iniziale della collaborazione è spesso emersa la tendenza a riesumare il vecchio modello dell’invio sulla base di una necessità ravvisata dal medico, in genere sulla linea di attribuire allo psicologo soltanto i casi in cui era presente un disturbo psichiatrico esplicito. Con il tempo, si è giunti quasi sempre a poter pensare in termini di ascolto congiunto di tutti i casi che giungevano all’osservazione.
I pazienti hanno quasi sempre espresso soddisfazione per l’iniziativa, e, come dicevo prima, la presenza dello psicologo ha portato ad un ampliamento della comunicazione. Nei 3 anni di esperienza di ciascun psicologo è capitato al massimo 1-2 volte che un paziente chiedesse di essere ricevuto soltanto dal medico. A qualcuno non è capitato affatto.
Sono stati somministrati anche questionari e test ai medici e ai pazienti sulle loro aspettative, sui bisogni, sulla percezione della figura dello Psicologo e del suo ruolo all’interno del contesto ambulatoriale di medicina di base? Se sì quali risultati avete riscontrato?
Essendo in una fase ancora sperimentale di una esperienza così nuova ci siamo preoccupati soprattutto che la presenza dello psicologo apparisse il più naturale e meno intrusiva possibile. Per questo non ci siamo sentiti molto propensi a somministrare questionari. Recentemente alcuni collaboratori, diversi dagli psicologi operanti in prima persona, hanno effettuato una serie di interviste ai medici di base e agli psicologi in prossimità del termine dell’esperienza, di cui avremo i risultati a breve.
Quali sono stati gli scopi principali del vostro lavoro e quali risultati generali sono stati raggiunti?
In questo ambito è molto difficile distinguere prevenzione e cura. Certamente ci siamo concentrati di più sulle situazioni allo stato nascente, che non avevano raggiunto una configurazione di “disturbo psicologico”. In questi ultimi casi ci siamo piuttosto occupati di organizzare un invio a strutture specialistiche.
Il nostro scopo primario è stato quello di ricercare un senso a qualunque tipo di disturbo, in particolare a quelli di tipo somatico, in cui la consapevolezza di un legame con la situazione di vita del soggetto era scarsa o assente. Questo tipo di intervento fa sì che anzitutto la persona non si avvii ad un percorso di “malato organico cronico”, ma a riflettere sulla propria situazione di vita.
Ogni psicologo ha individuato ed è riuscito a svolgere una qualche forma d’intervento in circa un centinaio di situazioni di vita altamente problematiche e disfunzionali, in cui spiccano le difficoltà di svincolo dalla famiglia di origine, le difficoltà coniugali, i problemi relativi al lavoro.
Quale riscontro hanno avuto i Medici di Base sulla richiesta di prescrizione farmaceutica e di esami specialistici?
Ritengo che questa sia la forma di valutazione più idonea ed obiettiva del nostro lavoro, in quanto testimonia una diminuzione delle risposte sul piano biologico, molto di più di qualunque questionario cui si può rispondere magari per compiacenza. Purtroppo è stato possibile finora avere dei dati in merito solo in un caso, dal Dr. Cappelloni di Rieti, che ha documentato una riduzione della spesa farmaceutica due anni dopo l’inizio della collaborazione con la psicologa da un 19% sopra la media della ASL all’1% sotto la media, realizzando un risparmio stimabile su base annua in 75.000 euro (solo per la spesa farmaceutica). Se questi dati fossero confermati in altri casi, il risparmio attuato sarebbe ampiamente superiore al compenso necessario per lo psicologo.
In quali altri Paesi è stata attuata un’esperienza simile e con quali risultati? E questa esperienza italiana come si pone rispetto a quella di altri Paesi?
Non ci risulta che questa specifica modalità di collaborazione sia stata attuata in altri paesi. Abbiamo notizia di colloqui congiunti attuati presso alcune Scuole Mediche statunitensi (5,6) esperienza attuata come formazione degli specializzandi in Medicina Interna e Psicologia Clinica, ma sempre su richiesta del medico su casi specifici, il che implica gli inconvenienti che ho descritto in precedenza. L’idea che uno psicologo possa vedere senza alcun filtro tutti i pazienti che afferiscono ad una struttura medica sembra piuttosto difficile da essere concepita. In Italia sono al corrente di esperienze di questo tipo in situazioni diverse dalla medicina di base: l’Oncologia dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Siena.
Il primo giugno 2010 è stata formulata una proposta di legge (n. 3215) per l’istituzione della figura professionale dello Psicologo di Base. Cosa ne pensa?
La proposta di legge prevede tra i requisiti, per l’accesso alla professione di Psicologo di Base, l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi o l’iscrizione all’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri. L’Ordine degli Psicologi si è già attivato per chiedere la modifica di questi requisiti, ricordando che la legge 18 febbraio 1989 n. 56 stabilisce che: “Per esercitare la professione di Psicologo è necessario aver conseguito l’abilitazione in Psicologia mediante esame di stato ed essere iscritto nell’apposito elenco professionale”. Quali pensa debbano essere i titoli e le competenze necessarie per esercitare la professione di Psicologo di Base?
Sembrerebbe ovvio che per fare lo Psicologo si debba essere psicologi, esattamente come per fare il Medico è necessario essere medici. Purtroppo viviamo in un’epoca che mette in discussione molti principi che sembravano acquisiti. Sarà necessario che gli psicologi mantengano la massima allerta per evitare ulteriori erosioni del loro spazio professionale. Per quanto riguarda specificamente lo Psicologo di Base si dovrà pensare ad una formazione postlaurea in analogia a quella richiesta per il Medico di Medicina Generale.
Il problema che mi sembra centrale però è la collocazione di questo psicologo. La proposta cui fate riferimento prevede che l’accesso alle prestazioni dello Psicologo di Base avvenga su richiesta del Medico di Base, il che comporta tutti i problemi di cui ho parlato all’inizio relativi alla selezione e alle modalità di invio dei casi. Anche un libero accesso dell’utenza allo studio dello Psicologo di Base mi sembra di scarsa utilità: vi accederebbero probabilmente quasi soltanto soggetti con disturbi psichiatrici conclamati (che necessitano più di assistenza specialistica, specificamente psicoterapeutica) mentre la domanda meno consapevole che attualmente affluisce al Medico di base solo in piccolissima parte riuscirebbe ad indirizzarsi a questo nuovo servizio. Tanto varrebbe allora potenziare i Servizi di Salute Mentale, così sovraccarichi di utenza in rapporto al personale.
Il nostro auspicio è che si proceda ad una sperimentazione su scala più ampia, retribuita, delle modalità descritte di inserimento nello studio del Medico di Medicina Generale. Nella attuale situazione socio-politica-sanitaria a me non vengono in mente altre collocazioni efficaci, ma naturalmente potrebbero venire in mente a qualcun altro.
Quali altre riflessioni desidera aggiungere?
Non insisterò mai abbastanza, perché viene continuamente frainteso, sul concetto che lo scopo della nostra iniziativa – e, ritengo, lo scopo di un eventuale figura di Psicologo di Base – non sia di individuare e trattare i soggetti con disturbi psichiatrici conclamati, poiché il Medico è già in grado di procedere a questa individuazione ed avviare il soggetto al trattamento specifico, che dovrà essere attuato dalla Psicologia specialistica (psicoterapeutica) eventualmente in collaborazione con la Psichiatria. Il nostro scopo è di esplorare il significato di qualunque problematica, fisica o mentale, proposta da qualunque persona, nel contesto della sua situazione relazionale presente e passata e nel contesto del suo ciclo di vita. In altre parole, di occuparci di problemi, non di patologie; meglio ancora, di occuparci di problemi prima che divengano patologie.
Bibliografia
- Tomassoni, M., Solano, L. (2003): Una base più sicura: esperienze di collaborazione diretta tra medici e psicologi. Franco Angeli, Milano.
- Solano L., Pirrotta E., Ingravalle V., Fayella P. (2009): The Family Physician and the Psychologist in the Office together: A Response to Fragmentation. Mental Health in Family Medicine, 6: 91-98.
- Solano L., Chiancone L., Coci B., Ingravalle V. Marchina A, Onofrio D. (2010): Medico e Psicologo insieme nello studio: il sintomo come attivatore di risorse. Arco di Giano, n.64, pp. 109-122.
- Ponzio, G., a cura di (2008): La Psicologia ed il mercato del Lavoro. Ordine degli Psicologi del Lazio, Franco Angeli, Milano
- Holloway R.L., David A.K. (2005): The Complexion of collaboration: an overview of the psychologist-physician relationship. Clinical Case Studies, 4: 115-125.
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